Le aziende che intendano installare nei luoghi di lavoro un impianto di videosorveglianza hanno l'obbligo di munirsi di apposita autorizzazione all’installazione ed all'utilizzo dell'impianto, rilasciata dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL). Inoltre il titolare dell'impianto, e quindi del trattamento dei dati, deve comunque ottemperare agli obblighi di informativa previsti dall'art. 13 del D.Lvo N° 196/2003.
L'orientamento giurisprudenziale tende ad identificare come luoghi soggetti alla normativa in questione anche quelli esterni dove venga svolta attività lavorativa in modo anche saltuario o occasionale (ad es. zone di carico e scarico merci). Sarebbero invece da escludere dall'applicazione della norma quelle zone esterne estranee alle pertinenze della ditta, come ad es. il suolo pubblico, anche se antistante alle zone di ingresso all'azienda.
L'autorizzazione mantiene la sua validità fintanto che nulla cambi nella configurazione dell'impianto installato, rispetto a quanto autorizzato. In tal senso si può affermare che l'autorizzazione non ha scadenza.
Il mantenimento dell'impianto a circuito chiuso all'interno della sede aziendale è una delle condizioni più importanti cui si ricorre al fine di evitare che si possano liberamente visionare le immagini da postazione remota mediante l'impiego di PC, tablet o telefoni cellulari. In merito al posizionamento ed all'orientamento delle telecamere, poi, si assicura che, ad eccezione dei locali aperti alla clientela, per i quali non sono previste particolari restrizioni, negli ambienti di lavoro non vengano inquadrate postazioni fisse o zone destinate alla esecuzione dell'attività lavorativa. Sono ammesse invece telecamere che sorveglino porte, finestre o zone di passaggio come i corridoi.
Assolutamente no. Le motivazioni che legittimino l’istallazione di un impianto di videosorveglianza sono: esigenze organizzative e produttive (si pensi alla necessità di riprendere un macchinario per verificare che questo funzioni correttamente e finisca un ciclo di produzione per iniziarne un altro; oppure a una telecamera posta sull’uscio del negozio per vedere se entrano clienti e riceverli); tutela della sicurezza del lavoro (si pensi a una telecamera in un ufficio postale o in una banca per dissuadere i ladri dalla tentazione di fare una rapina); tutela del patrimonio aziendale (si pensi a una telecamera posta nei vari reparti del supermercato per evitare che qualche cliente – o qualche dipendente stesso – prelevi della merce senza pagarla).
Il Ministero del Lavoro chiarisce che la condotta criminosa è rappresentata dalla mera installazione non autorizzata dell’impianto, a prescindere dal suo effettivo utilizzo. In aggiunta il Ministero condanna l’azienda anche nel caso in cui vengano installate delle telecamere “finte” montate al solo scopo dissuasivo.
La sanzione è stabilita, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, nell’ammenda da 154,00 euro a 1.549,00 euro o arresto da 15 giorni a 1 anno. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente. Quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel primo comma può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.
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